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Raglio e Paolantonio: il commento a conclusione del corso “Musica come cura”

da | Dic 8, 2022 | LEGGI, Progetti

Con l’ultima lezione “Musica e coesione sociale”, lunedì 5 dicembre 2022 si è concluso il corso universitario “Musica come cura” seconda edizione di Cultura e Salute, promosso dalla Divisione Cultura della Città di Lugano, IBSA Foundation per la ricerca scientifica, Università della Svizzera italiana (USI) e Conservatorio della Svizzera italiana.
“Musica come cura” ha creato una piattaforma di incontro tra le cosiddette medical humanities e la ricerca musicale e musicoterapica votata all’individuazione e misurazione degli effetti positivi della musica sugli individui. Sette appuntamenti aperti al pubblico per esplorare sette diverse tematiche, con ospiti internazionali, testimonianze di casi sul campo e discussioni facilitate dai professori della Facoltà di Scienze Biomediche dell’USI. Chiediamo ad Alfredo Raglio e Paolo Paolantonio, membri del Comitato Scientifico del corso, insieme al Professor Enzo Grossi, di ripercorrere le lezioni commentandoci questa edizione e dandoci qualche anticipazione sugli sviluppi futuri di ricerca. 

Professor Raglio, può riassumere il programma del corso “Musica come cura”, ripercorrendo gli obiettivi che vi siete posti all’inizio?
AR. Il corso si è articolato toccando varie tematiche che hanno a che fare con gli effetti della musica nel contesto preventivo, riabilitativo e terapeutico. Siamo partiti da una prima conferenza introduttiva che ha posto l’attenzione sulla musica applicata al contesto medico, per addentrarci poi in una serie di tematiche più specifiche che riguardano l’utilizzo della musica per contrastare il dolore, l’ansia e lo stress. Abbiamo poi toccato il tema della valenza della musica nello sviluppo psico-cognitivo del bambino, per arrivare alla musicoterapia, quindi all’utilizzo della musica in setting terapeutici, applicata all’ambito neuropsichiatrico infantile e psichiatrico. Sono state trattate anche tematiche più generali della musica, quali, ad esempio gli effetti della musica sul benessere nel corso della vita, anche a soggetti sani. Ancora, si è parlato di musicoterapia applicata alle demenze e alla riabilitazione neurologica e infine della musica come elemento facilitante la coesione sociale, le relazioni, quindi l’ambito psicosociale. Con queste tematiche abbiamo voluto dare spazio a tutti, o quasi, gli ambiti applicativi della musica e della musicoterapia. Individuando nelle tematiche preventive, riabilitative e terapeutiche i principali contesti applicativi. L’aspetto distintivo di queste conferenze, che hanno una importante valenza istituzionale, è il taglio scientifico, unitamente a una modalità innovativa di presentazione, che ha facilitato l’interazione tra i partner coinvolti.

A quando risale l’interesse della ricerca musicologica per gli effetti benefici della musica sugli individui?
AR. Tralasciando i riferimenti all’antichità e alla mitologia e venendo ai tempi più attuali, la storia della musicoterapia e dell’utilizzo della musica in ambito clinico è piuttosto recente. Ciò riguarda sia la strutturazione di pratiche e tecniche che sono andate man mano definendosi e codificandosi in modo sistematico dal punto di vista applicativo, sia l’ambito della ricerca. Direi che la ricerca ha avuto uno sviluppo esponenziale nell’ultimo trentennio, in cui c’è stato un incremento di studi e di punti di contatto tra la musicoterapia e l’ambito scientifico. Si sono sviluppate le neuroscienze applicate alla musica e si è creato un fermento che ha portato a uno strutturarsi di lavori di ricerca veramente solidi, basati su quei paradigmi scientifici a cui attingono anche altre discipline. Ciò ha sfatato anche l’idea che la musica non si presti a questo tipo d’indagine: in realtà, dal punto di vista metodologico si sono fatti grandi passi in avanti, ci sono evidenze sia rispetto agli effetti della musica e della musicoterapia nei diversi contesti clinici, sia rispetto ai meccanismi che producono questi effetti. Ci sono revisioni sistematiche di notevole rilevanza scientifica che documentano questa efficacia, che si estende un po’ a tutti gli ambiti. Ci sono stati contesti clinici più indagati, per esempio l’ambito neuropsichiatrico infantile e l’ambito neuropsichiatrico e neurologico, soprattutto neuro-riabilitativo e, più recentemente, l’ambito oncologico. Ma ci sono ambiti che devono essere ancora studiati. L’assenza di studi, tuttavia, non significa assenza di potenzialità e assenza di efficacia: vuol dire che non siamo ancora in possesso di dati significativi, che comprovano l’efficacia… Questa è una lacuna da colmare.

PP. Questo progresso, infatti, ci fa anche riflettere su come andare avanti, grazie a una visione più lucida sulle questioni ancora aperte, più difficili da misurare. Nel mio campo specifico, oltre ai benefici che la musica può dare a una popolazione come quella anziana, è interessante notare come studiati con una certa intenzione, alcuni processi ci aiutano a mettere in discussione certi preconcetti sulla musica. Se somministrata e applicata con le dovute cautele, può avere un ruolo e un’importanza che spesso anche i musicisti e gli addetti ai lavori possono sottovalutare.

Enzo Grossi, Lilia Taruffi, Paolo Paolantonio e Cristiana Sessa al corso “Musica come cura” ©IBSA Foundation 2022

Tutti gli appuntamenti del corso sono stati aperti al pubblico e l’affluenza è stata sorprendente. Dal vostro punto di vista, quanto sono vasti l’interesse e lo spettro d’azione potenziali che scaturiscono da queste ricerche?
AR. Ognuno degli ambiti trattati coinvolge molti contesti. Negli ultimi anni osserviamo una grande contaminazione tra discipline e applicazioni. Questo fa sì che anche tematiche specifiche vengano portate anche in contesti scientifici divulgativi e si rivolgano a specialisti, ma al tempo stesso anche agli stessi pazienti e ai loro familiari. La musica, infatti, può coinvolgere anche i caregivers: ciò accade ad esempio nell’ambito delle demenze e in generale in ambito geriatrico. Alcune attività con la musica, purché supportate e supervisionate, possono essere proposte con beneficio anche da figure non necessariamente specializzate o iper-specializzate. Da questo punto di vista, direi che c’è un’estensione, un allargamento dell’utilizzo della musica anche in contesti preventivi o sociali in cui si stanno facendo esperienze molto interessanti. Alcuni incontri del corso hanno approfondito proprio questa direzione. Ma ci sono anche tanti altri esempi che non abbiamo potuto racchiudere negli incontri, pur prestandosi molto a essere sviluppati in diversi contesti e in diverse fasi della vita. Le potenzialità della musica in termini di comunicazione e ascolto sono davvero enormi.

PP. Osservato dalla prospettiva del musicista, questo discorso apre un futuro progettuale molto significativo. Mi sembra importante sensibilizzare i musicisti per primi rispetto al fatto che la musica abbia un potenziale legato non solo all’appagamento estetico. La ricerca dovrebbe occuparsi di questo ambito di sensibilizzazione dei musicisti, così come dell’importanza del contesto e del dialogo interdisciplinare. Laddove si incontrano diverse figure professionali in modo sistematico, consapevole e informato, effettivamente si possono fare grandi cose mettendo la musica al centro dell’intervento.

Un momento della performance musicale durante il corso “Musica e cura”, 2022 ©IBSA

Un momento della performance musicale durante il corso “Musica e cura”, 2022 ©IBSA

Durante ogni incontro, gli studenti musicisti del Conservatorio della Svizzera italiana hanno eseguito delle performance musicali con programmi selezionati in modo coerente con il tema della lezione, offrendo quasi uno spunto pratico e creativo alla lettura dei contenuti presentati. Qual è stato il valore aggiunto di questo momento musicale al corso?
PP. La mia impressione è che il valore aggiunto di questi momenti musicali sia stato percepito molto bene. I compositori proposti sono tutti viventi, un dato che forse non è scontato, la diversità di strumenti rappresentati è stata ampia – abbiamo proposto vibrafono, violoncello, marimba, flauto, pianoforte, chitarra e sassofono– e, come trait d’union, tutte le opere scelte rappresentano esempi di musica elettronica. Tutto questo, unitamente al contesto aperto alla cittadinanza che ha potuto seguire liberamente le lezioni, ha fatto sì che si sia creato uno spazio innovativo in cui, da un lato si è cercato di portare qualcosa di bello, dall’altro si è reso fruibile un genere musicale che sicuramente non è facile incontrare per caso.

AR. Rappresenta sicuramente un punto d’incontro, un punto interdisciplinare molto importante. Significa toccare con mano questo rapporto tra musica e scienza, quindi stimolare l’ambiente scientifico a calarsi nell’ottica musicale e al tempo stesso stimolare i musicisti a prendere contatto con l’ambito scientifico. Non è un caso, d’altra parte, che il Conservatorio sia partner all’interno di questa esperienza, perché sempre più l’ambiente Conservatorio viene coinvolto proprio nel formulare percorsi formativi riferibili alla terapia con la musica. Non è un caso che i modelli formativi anche in paesi limitrofi come l’Italia, siano stati affidati recentemente ai Conservatori che, in sinergia con l’Università, creano dei percorsi formativi per il musicista che andrà a utilizzare la musica in un contesto musicoterapeutico. Credo che sia un tema di grande interesse. Le proposte musicali costituiscono un modo per coinvolgere anche il pubblico in una dimensione di ascolto ampliato, come d’altra parte la terapia ci insegna a fare. Trovo molto significativa e suggestiva la presenza dei musicisti all’interno di questi incontri. Sempre più frequentemente capita di inserire la musica reale in contesti in cui si parla magari in modo più speculativo di musica. È un tema molto interessante, molto attuale, stimolante e che ancora una volta va nella direzione della cultura interdisciplinare.

Il 5 dicembre 2022 si è tenuta la lezione conclusiva intitolata: “Musica e coesione sociale”, con l’intervento dell’archeologo Steven Mithen dell’Università di Reading, che ha spiegato come nella storia dell’evoluzione dell’uomo la musica sia stata anche uno strumento di influenza e di potere. Perché avete scelto proprio questo tema per concludere il corso?
PP. È un tema complesso. Ricordo che la musica ha anche il dono dell’ubiquità: possiamo trovarla in tante situazioni diverse. Il ruolo di influenza e di potere della musica può avere un peso molto forte in certi contesti. Pensiamo alle volte in cui le folle si muovono, non tanto verso la musica, ma verso un particolare musicista, che diventa un’icona culturale. Il discorso si complica nei lavori di comunità, dove il musicista si sposta verso persone che non possono scegliere, che forse non possono muoversi, e lì possono subentrare dinamiche di potere che possono sfuggirci di mano. Dobbiamo, quindi, stare attentissimi perché non vogliamo esercitare il potere in maniera inconsapevole, o magari sono quelli i territori dove si può ridiscutere un potere o la mancanza di un potere. E trovare, attraverso la musica, una maniera autentica di comunicare.

AR. II tema del potere nell’ambito di cui stiamo parlando è un po’ pericoloso, come sono pericolosi anche i musicisti da questo punto di vista. Il musicista è una figura che dalla musicoterapia può imparare molte cose: può imparare ad ascoltare e ad ascoltarsi con un livello di profondità che cambia notevolmente anche la percezione e l’espressività musicale. La formazione musicoterapeutica può incidere profondamente sul musicista: di questo ho esperienza diretta nella mia vita professionale di formatore in ambito musicoterapeutico. In questo ambito il percorso per il musicista è forse più difficile. Si tratta di sviluppare una capacità di ascolto profondo che va al di là della propensione estetica del musicista. Si tratta di utilizzare la musica, ma più frequentemente l’elemento sonoro-musicale, come veicolo comunicativo valorizzando la dimensione espressiva e la relazione, spesso a discapito del musicalmente bello. La profondità che si riesce a raggiungere nel setting musicoterapeutico è notevole e sviluppa una differente sensibilità musicale. In riferimento all’ultimo incontro, Mithen, lo speaker dell’ultima conferenza, ha scritto un libro molto bello, “Il canto degli antenati”, dove parla molto di musica e di teorie evoluzioniste della musica. Qui si trovano molti temi riconducibili alla profondità della musica e alle sue prospettive di cura e di utilizzo in ambito sociale: la musica non è solo divertimento, non è solo un piacere estetico, ma è molto di più. Ed è proprio in quelle radici che è da ricercare il potenziale terapeutico della musica.

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