Chi si accosti alla musica antica, non mancherà di imbattersi nel fervido dibattito che ha accompagnato lungo il Novecento la creazione di nuove prassi esecutive con la tendenza ad aderire il più possibile all’opera originaria, così come era stata composta ed eseguita nella sua epoca. Prassi come l’interpretazione storicamente informata: un approccio che applica gli aspetti stilistici originari della musica antica, utilizzando strumenti musicali d’epoca.
Il valore dell’autenticità è stato il cardine del dibattito sull’esecuzione di musica antica in tempi moderni, portato avanti da musicologi come Arnold Dolmetsch [1] e Robert Donington [2].
My own definition of authenticity is both simple and categorical. Authenticity is congruity between music and performance. “Do it now as it was originally done” is no bad start for getting round to that [3].
Questi i termini in cui Donington ha inquadrato la questione. Ma sul tema dell’autenticità e dei suoi limiti si sono contrapposte visioni diverse, tra cui quella del musicologo statunitense Richard Taruskin, che ha intitolato un celebre articolo comparso nel 1984 sulla rivista Early Music “The authenticity movement can become a positivistic purgatory, literalistic and dehumanizing” (Il movimento autenticista può diventare un purgatorio positivistico, letteralistico e disumanizzante), in cui definisce assurda la pretesa che un’esecuzione moderna possa essere a tutti gli effetti autentica e l’idea che l’opera attiva di interpretazione dell’esecutore possa essere subalterna all’applicazione letterale dei trattati d’epoca. Afferma che l’autenticità, in ultima istanza, non debba costituire il principale elemento di valutazione critica dell’esecuzione [4].
Se il dibattito sull’autenticità ha animato la critica musicologica nel Novecento, oggi l’interpretazione storicamente informata, su strumenti antichi originali o ricostruiti, apre scenari di sperimentazione e ricerca sempre più interessanti. Su questa linea, la Scuola universitaria di Musica ha deciso di portare a termine un’importante acquisizione di 24 archetti barocchi tra violino, viola, violoncello e contrabbasso.
«Abbiamo preso la decisione di fare questa acquisizione per dare la possibilità ai giovani di avere una maggiore coscienza stilistica coerente con la musica barocca. Utilizzare un arco barocco dalla forma convessa renderà più semplice l’approccio alle caratteristiche tecniche e di conseguenza stilistiche tipiche dell’epoca: l’attacco, l’articolazione, ma soprattutto la grande differenza tra l’arcata in giù, più sonora e appoggiata, e quella in su, più leggera e direzionale. Con l’arco moderno, di forma concava, troviamo invece una più grande uniformità tra l’arcata in giù e quella in su, un suono meno articolato ma più grande e legato, caratteristiche più adatte alla musica composta dal 1800 in poi» ha spiegato il violinista e docente Alessandro Moccia. L’arco del primo barocco, infatti, era convesso, contrariamente all’arco moderno che si presenta in una forma praticamente concava. La peculiarità di utilizzare uno strumento antico, quindi, si rivela nel suggerire certi fraseggi e una particolare articolazione che l’arco moderno non consente. «Abbiamo commissionato il lavoro a due archettai, la francese Maria Gottero e il belga Jérôme Gastaldo, che hanno due stili molto diversi, per cui avremo archi molto interessanti che ben si adatteranno alle diverse personalità degli studenti» ha aggiunto.
Diego Fratelli, docente di musica antica, lo definisce come un “investimento per sempre”.
«Questa acquisizione ci aiuterà, nella quotidianità dell’insegnamento, a togliere quell’aura di un sapere quasi per iniziati che circonda la cosiddetta musica antica. Ci darà una mano a uscire dal mero approccio teorico e ad aprire la strada al ricercare e allo sperimentare. Suonare con archi antichi permetterà agli studenti di capire meglio perché i compositori abbiano fatto certe scelte e di elaborare a fondo la ricerca interpretativa di alcune pagine della letteratura musicale antica, favorirà una più agevole comprensione delle esigenze e della prospettiva storica della prassi esecutiva» ha affermato.
Il Conservatorio, che non ha un dipartimento di Musica Antica, ha trovato in questo modo la strada per cominciare ad avvicinarsi alla crescente necessità di formare gli strumentisti sul repertorio antico in modo storicamente informato. «Sempre di più siamo confrontati, a livello di posizionamento sul mercato e di sviluppo di competenze in generale, con il fatto che oggi i musicisti devono essere flessibili e possedere il maggior numero di conoscenze possibili» ha affermato Giulia Genini, fagottista barocca e Responsabile dell’Area Formazione e Performance della SUM. «Questo significa saper utilizzare del materiale consono a un certo tipo di repertorio per svolgerlo nella maniera più aggiornata possibile. La musica antica non è più una nicchia, né una moda, ma una realtà: ci sono tanti gruppi bravi con una discografia importante, festival in tutto il mondo e un pubblico che percepisce la differenza tra una esecuzione storicamente informata e un’esecuzione su strumenti moderni» ha concluso.
«Nei seminari di musica antica tutto ruota intorno alla logica musicale e avere a disposizione gli archi barocchi rende più facile guardare la partitura. Studiare il repertorio di compositori come Bach, Vivaldi, Corelli con gli archi antichi è un aiuto grandissimo per l’apprendimento non solo della musica antica, perché tutto ciò che suoniamo oggi deriva in qualche modo da queste origini. Io sono allievo di Alessandro Moccia e da lui sto apprendendo proprio l’uso della tecnica antica anche nella concezione più moderna del violino» ha commentato Giuseppe Tucci, studente di violino e Vice Direttore dell’Associazione Studenti. «Questi archi sono fatti benissimo, con un bellissimo legno, sono comodi, leggeri. Sono archi che dureranno a lungo ed esprimeranno tanto».