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Riflettori sul pianoforte. Incontriamo i nuovi docenti Roberto Plano e Federico Colli

da | Mar 9, 2023 | LEGGI, Formazione

Roberto Plano e Federico Colli, pianisti di fama mondiale, hanno vinto il concorso per le classi di pianoforte della Scuola universitaria di Musica. Colleghi e amici da tempo, hanno studiato entrambi da giovanissimi con Sergio Marengoni, sviluppando poi grandi carriere internazionali. Li abbiamo incontrati per conoscere da vicino i loro progetti pedagogici al Conservatorio della Svizzera italiana.

Roberto e Federico, come è iniziata la vostra avventura nella musica?
Roberto Plano (RP).
Ho compiuto i primi passi musicali a Varese. Mi sono diplomato a Milano con Eli Perrotta e Chiaralberta Pastorelli, e ho proseguito gli studi con Bruno Canino e all’École Normale Cortot di Parigi con Nelson Delle Vigne, continuando poi con Sergio Marengoni e alla Lake Como Academy con William Grant Naboré. Con la vittoria del “Concorso di Cleveland”, negli Stati Uniti, è iniziata la mia carriera concertistica. Successivamente sono stato premiato al Concorso “Honens” a Calgary in Canada, e poi la finale al “Van Cliburn”, che mi ha dato ulteriore visibilità. Parallelamente, ho iniziato la carriera didattica nei conservatori italiani e dal 2016 anche negli Stati Uniti, prima alla Boston University e poi a Bloomington, che è l’istituzione di riferimento in America per gli studi musicali a livello universitario. Avendo l’intenzione di rientrare in Europa, più recentemente ho iniziato a insegnare anche al Royal College of Manchester e la vittoria di questo concorso al Conservatorio della Svizzera italiana chiude definitivamente il cerchio, dandomi la possibilità di continuare il percorso accademico internazionale e di altissimo livello che avevo in America, a due passi da casa.

Roberto Plano © Roberto Plano

Federico Colli (FC). Ho iniziato a suonare il pianoforte per grande curiosità e per gioco: la mia avventura nella musica è cominciata in maniera molto incosciente. Ho iniziato a frequentare le lezioni del maestro Sergio Marengnoni, un luminare della pedagogia musicale, a otto anni. Devo molto ai suoi insegnamenti: l’imprinting che si dà a un bambino è fondamentale. Con lui mi sono diplomato a 16 anni e poi è cominciata quella che chiamo ‘la mia avventura russa’: ho studiato con Konstantin Bogino e successivamente con Boris Petrushansky, che mi ha insegnato la forza e la convinzione delle idee. Con lui mi sono affacciato al mondo dei concorsi. Nel 2011 ho vinto il “Concorso Mozart” e l’anno successivo il “Concorso Leeds” in Inghilterra, aprendomi alla carriera concertistica internazionale. Ho quindi iniziato a tenere masterclass con regolarità. L’ho sempre fatto in maniera molto responsabile e con grande gioia. I miei insegnanti, infatti, hanno sempre coltivato dentro di me il seme della responsabilità dell’insegnamento: insegnare è la più alta forma di nobiltà. L’insegnante diventa ethos, nel senso etimologico del termine: questo callo che a furia di porci attenzione diventa più sempre più sostanziale, costruisce l’abitudine, l’uso, nel nostro intimo.

Quali sono le sfide principali che un giovane pianista in formazione deve saper cogliere oggi?
RP.
Ho la fortuna di aver vissuto come si insegna la musica in diverse parti del mondo e devo dire che l’America in questo campo è un raccoglitore incredibile, perché accoglie studenti da tutto il mondo. Vedo che molti ragazzi sono consapevoli del percorso accademico che devono fare per garantirsi la possibilità di insegnare. Questa è una cosa molto positiva, ma non deve essere l’unico obiettivo di uno studente. La carriera scolastica è importantissima ma deve essere vissuta dallo studente con una visione a 360 gradi del mondo musicale che lo circonda, includendo tutte le altre sfaccettature creative e artistiche legate alla nostra carriera. Coraggio e curiosità devono essere parte integrante del percorso di studi dello studente.

Federico Colli © Eveline Beerkircher

FC. Guardando le realtà che si stanno trasformando, mi pare che si dovrebbe formare un ragazzo a essere prima di tutto un pensatore nei confronti del mondo musicale. Offrire a un ragazzo l’opportunità di concepire la musica a 360 gradi, credo che possa dare una determinazione in più anche nella praticità del mercato del lavoro. In una sonata di Mozart, per esempio, insieme all’insegnamento di ordine pratico di come si risolve un trillo, di come si affronta l’uso del pedale, dobbiamo soffermarci anche sulla direzione di ordine teoretico ed estetico. Perché Mozart ha scritto proprio quella musica in quel determinato momento? Quali erano le componenti determinanti della sfera sociale in quel periodo storico? Qual era l’atmosfera culturale? L’estetica? Qual era la filosofia predominante? Identificare queste correlazioni che si muovono nello spazio-tempo delle connessioni culturali è fondamentale per riuscire a farle vibrare all’interno del nostro spirito quando stiamo interpretando una musica.

Quale progetto pedagogico intendete sviluppare al Conservatorio della Svizzera italiana?
RP. Ciò che ho sempre cercato di perseguire, come allievo e come docente, è permettere che il mondo esterno si accorga dello studente nel momento in cui è ancora in formazione. Al Conservatorio della Svizzera italiana ho potuto vedere che esiste questa predisposizione: c’è sempre un’attenzione precisa verso gli studenti, verso ciò che realizzano anche come alumni. Una delle sfide maggiori della pedagogia musicale è far comprendere ai giovani che devono mettersi in gioco. La scuola può anche essere una sorta di rifugio sicuro – e lo deve essere –  ma nello stesso tempo deve dare la possibilità di andare fuori. L’insegnante deve essere una guida completa soprattutto per quello che è relativo a una carriera musicale, che è incredibilmente difficile. Io credo che il musicista odierno non debba avere barriere, deve essere curioso e in grado di continuare a cercare un’ispirazione per creare qualcosa di nuovo. In questo senso il ragazzo deve essere sveglio, ma il maestro deve aiutarlo. Questa la sento proprio come una missione.

FC. Penso che l’aspetto culturale dell’insegnamento musicale sia determinante. È necessario lavorare anche sullo sviluppo di competenze pragmatiche legate al mondo della musica, come lavorare sulla consapevolezza che esistano diversi linguaggi. Uno stesso programma si può proporre in Francia, per esempio, ma non in Giappone. Capire a fondo perché con una determinata orchestra si può proporre un repertorio mentre, con un’altra è meglio proporne un altro. Quali sono i codici comunicativi con un direttore artistico. Queste cose estremamente pratiche sono comunque meritevoli di attenzione. Un altro aspetto, è quello corporale. Non possiamo dimenticarci che un musicista prima di essere pensatore e artista, è un atleta. Muovere le dita 8 ore al giorno, sentire le braccia che fanno male, richiede di saper conoscere la biomeccanica del nostro corpo. Capendola, non solo è possibile prevenire gli infortuni, ma anche produrre esattamente quel tipo di suono che stiamo cercando. Questo si ricollega, infatti, alla questione centrale: la necessità di sviluppare l’orecchio. Questa è una considerazione che in maniera prioritaria cercherò di dare alla mia classe: per migliorarsi bisogna capire prima ciò che non va e trovare le armi dentro di sé per risolvere il problema.

Scuola universitaria di Musica | Pianoforte

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