La musica deve essere “inclusiva”? Posta così, la domanda chiama una risposta semplice e diretta: certamente.
La musica è bella, è motivo di piacere e di arricchimento. Occorre fare in modo che il maggior numero di persone possibile ne possa godere, al di là delle tradizioni famigliari, del grado e tipo di scolarizzazione, del ceto. Questi fattori tendono in effetti ad escludere una parte della collettività o a confinarla al ruolo di consumatrice passiva di prodotti di bassa qualità. Fin qui nulla da eccepire: ben vengano dunque gli sforzi di inclusione!
Ma per chi, come il sottoscritto, ha fatto delle parole il proprio mestiere per una vita, il termine rischia di portare con sé alcune zone d’ombra. Potrebbe infatti diventare anche l’alibi di un semplice trasferimento del consumo da un tipo di prodotto ad un altro, senza quel salto di qualità che dovrebbe costituire l’elemento essenziale di una inclusione positiva e valorizzante.
Questione di mezzi, di numeri, di situazioni diverse. Ma anche di parole.
Vorrei che si parlasse piuttosto di condivisione. Soprattutto nel caso della musica. Perché essa ha in sommo grado la capacità intrinseca di coinvolgere nel senso più ampio, ricco e profondo del termine.
Per questo vorrei che si parlasse piuttosto di condivisione. Soprattutto nel caso della musica. Perché essa ha in sommo grado la capacità intrinseca di coinvolgere nel senso più ampio, ricco e profondo del termine. Non occorre, per carità, diventare tutti dei musicisti. Come non occorre che chi sa leggere si metta per forza a scrivere romanzi. Il solo fatto di leggere permette di accedere a nuovi mondi e a nuove esperienze, facendo vivere in modo più inteso chi legge.
Allo stesso modo un’esperienza concreta, anche limitata, di pratica vocale o strumentale è indubbiamente utile e importante, ma l’ascolto rimane il primo, fondamentale passo. Perché crea un contatto diretto, emotivo e cognitivo, con il musicista. Il quale, cantando o suonando, getta un ponte verso l’ascoltatore. In pratica condivide con lui le mille sfumature dell’esperienza musicale. Questo avviene nel modo migliore in presenza, quando la condivisione è portata alla massima intensità. Implica certo l’inclusione, ma va oltre.
Conservatorio in Festival, in questo senso, è un’opportunità preziosa per vivere questa condivisione, aperta su dimensioni diverse, in un intreccio virtuoso di situazioni, luoghi, epoche, generi, scuola, artisti, pubblico, approcci. Anche di parole. Perché se è essenziale, quando di mezzo c’è musica, evitare che le parole la soffochino (come succede talvolta) è anche necessario che di musica si parli.
Per capire con quali dinamiche è confrontata la musica nella realtà che la circonda, per individuare soluzioni ai problemi che ne ostacolano la diffusione (e quindi la condivisone), per riconoscere la prospettive che si aprono e che bisogna potere e sapere cogliere.
Per questo è importante che nessuna si senta escluso. Ma per questo occorre che tutti si possa e voglia soprattutto condividere. Conservatorio in Festival è per questo un’occasione d’oro.