Il Conservatorio della Svizzera italiana ospita ogni anno i Swiss Chamber Concerts, il programma concertistico di musica da camera che viene proposto in quattro città svizzere: Lugano, Ginevra, Basilea e Zurigo. Fondato nel 1999 dal violinista e violista Jürg Dähle, dal violoncellista Daniel Haefliger e dal flautista Felix Renggli, che è anche docente alla nostra Scuola universitaria di Musica, i Swiss Chamber Concerts sono stati il primo ciclo di concerti per musica da camera a livello nazionale in Svizzera. I programmi spaziano il repertorio antico e contemporaneo, con numerose nuove opere commissionate ogni anno a compositori svizzeri e stranieri. Felix Renggli ci racconta di più.
Come è nato il progetto degli Swiss Chamber Concerts e quali traguardi ha raggiunto in questi oltre 20 anni di attività?
Sono ormai quasi 25 anni che Daniel Haefliger da Ginevra, Jürg Dähler da Zurigo ed io, da Basilea, abbiamo avviato gli Swiss Chamber Concerts. Un progetto che è stato lanciato come la prima stagione di musica da camera a livello nazionale in Svizzera. In questi anni ne sono nati molti altri, ma allora fummo i primi in assoluto. In quel periodo Daniel stava progettando un nuovo ciclo di concerti a Ginevra, mentre Jürg aveva appena assunto la direzione della “Kammermusiker Zürich” – un ciclo di concerti consolidati di musica da camera – ed io ero appena stato nominato direttore artistico del “Kammerkunst Basel”, che aveva alle spalle una storia di oltre 30 anni di attività. Dal momento che noi tre direttori artistici degli SCC avevamo anche suonato insieme in diverse formazioni, decidemmo dopo tutte queste esperienze di creare la nostra serie di concerti. Una manifestazione in cui avremmo deciso tutti i programmi e selezionato gli artisti con cui suonare. Questa idea fu più complicata del previsto da gestire, soprattutto da un punto di vista in parte politico (in termini culturali). È sempre stata – ed è tuttora – una grande sfida soddisfare tutte le esigenze insieme e contenere i compromessi artistici, dal momento che cerchiamo di pianificare i programmi, scegliamo le date e gli orari in tutte le nostre città, che si trovano in regioni culturali e geografiche diverse del nostro piccolo paese. Fino ad oggi siamo riusciti a farcela.
Qual è il concept artistico che declinate in ogni edizione? E in questa, in particolare? Nei vostri programmi c’è tanta presenza di brani contemporanei in prima esecuzione mondiale con brani di repertorio. Quali sono le motivazioni che vi guidano?
Direi che fra tutti gli slogan che abbiamo creato in questi anni, come “Lux”, “Vox”, “Planet”, (…) quello che abbiamo selezionato per la stagione 2013/14 “Miroir” cioè “specchio” è stato quello che ha rappresentato meglio il nostro concept artistico: stimolare la musica del nostro tempo e renderla uno specchio in cui proiettare la musica del tempo passato, posizionando la musica contemporanea di giovani compositori in una dimensione di riflessione con i grandi brani del repertorio passato.
Cerchiamo sempre di trovare delle connessioni tra due opponenti, nella musica, in relazione ai compositori, ai personaggi, alle formazioni di ensemble, … La musica del nostro tempo è come un nuovo ramo di un albero: è sempre connesso a un altro ramo più vecchio, e così fino alle radici. Se riusciamo a presentare nuovi brani in questo modo, permettiamo al pubblico di entrare in una relazione più stretta con ciò che è nuovo, dal momento che hanno la possibilità di metterla in relazione con quello che già conoscono e che apprezzano.
Un altro aspetto è il fatto che molte volte quando nuovi brani sono suonati per la prima volta, poi spesso spariscono senza entrare nei programmi di concerto. Noi tre direttori artistici ne abbiamo fatto esperienza svariate volte. Quindi, fin dall’inizio, è stato uno dei nostri obiettivi lanciare prime assolute e altri brani nuovi o poco conosciuti in tutti i concerti nel nostro paese, e in parte anche all’estero. Ripetere un programma di musica da camera quattro o cinque volte insieme rappresenta per il musicista un’esperienza molto eccitante e soddisfacente.
Il formato degli SCC, infatti, è itinerante in alcune delle principali città della Svizzera. Quali sono le differenze, se ci sono, che riscontrate nei diversi contesti in termini di pubblico?
Dal momento che i nostri concerti sono realizzati nelle diverse regioni culturali del nostro paese (Lugano, Ginevra, Basilea e Zurigo), riceviamo anche diverse reazioni in termini di pubblico rispetto a determinati stili musicali. Non posso spiegarlo in un modo assoluto, dal momento che anche la composizione del pubblico gioca un ruolo in questo discorso e questa cambia da concerto a concerto. Dalla mia esperienza personale, sento una differenza abbastanza marcata tra la cultura latina e quella germanica. Specialmente nella musica cantata e questo non è dovuto solo alla comprensione di un’altra lingua ma, più che altro, dalla lingua stessa che è trattata in un modo musicalmente differente e quindi l’espressione è diversa, più legata al contesto culturale del linguaggio della canzone. Lo stesso avviene nella musica strumentale. Poi ci sono anche delle sorprese: nei primi anni, prima di spostarci al Conservatorio della Svizzera italiana, suonavamo al Teatro Sociale di Bellinzona. Avevamo un piccolo pubblico che faceva fatica a entrare in connessione con i brani contemporeanei. Una volta, abbiamo eseguito il brano “Image” di Ysang Yun, un quartetto per flauto, oboe, violino e violoncello. Un brano difficile e complesso da capire. Heinz Holliger, che suonava con noi, lo presentò al pubblico con un’introduzione molto personale, poiché era un buon amico di Yun. La reazione del pubblico alla performance del quartetto fu veramente emotiva e appassionata! Non ce lo aspettavamo. Fu un momento splendido per tutti noi, un momento che rimarrà per sempre impresso nella mia memoria.