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Il violino tra performance e insegnamento. Intervista ad Alessandro Moccia

da | Gen 11, 2024 | LEGGI, Persone

Violinista di fama internazionale e docente al Conservatorio della Svizzera italiana dal 2017, il prossimo 8 marzo 2024 Alessandro Moccia dirigerà l’Orchestra da camera della Scuola universitaria di Musica per il grande concerto di apertura di Conservatorio in Festival (Auditorio Stelio Molo, ore 20:30). L’abbiamo incontrato per conoscere da vicino la sua figura e le sue idee artistiche per il concerto alle porte della primavera.

Maestro Moccia, si è diplomato a Milano perfezionandosi poi a Cremona con Salvatore Accardo e a Portogruaro con Pavel Vernikov. Che cosa ricorda e come descriverebbe i suoi anni di formazione?
Ho studiato nella famosa “Milano da bere” degli anni ’80, una città in pieno fermento culturale, anche a livello musicale. Al Conservatorio ho avuto la fortuna di studiare con un violinista e un insegnante straordinario, Felice Cusano, una personalità artistica e umana di grande sensibilità e capacità pedagogica. Cusano mi ha preso sotto la sua tutela quando avevo solo quindici anni e ha lasciato su di me un’impronta così significativa, che mi contraddistingue ancora oggi.
In seguito ho incontrato il m.o Accardo all’accademia Stauffer di Cremona. Accardo è un violinista dall’aura indiscutibile, un nome che fa parte della storia del violino. Poi, chiaramente, anche il contatto con Pavel Vernikov è stato molto importante. Lui, che veniva da una scuola discendente da quella russa di David Oistrakh, poteva svelare a noi giovani la visione di quella scuola, che è stata per tutti un riferimento fondamentale.

Come si è sviluppata in seguito la sua attività artistica?
Dai 19 anni in poi ho avuto la fortuna di iniziare ad insegnare come supplente al Conservatorio di Milano e, allo stesso tempo, sviluppare le mie attività da violinista, come solista e in quartetto. Fin da giovane ho sempre avuto una sensibilità anche per il mondo della musica antica e degli strumenti originali. Direi che un passo decisivo nella mia carriera è stato quando ho iniziato a suonare in quartetto su strumenti originali, all’inizio degli anni ’90, e poi l’incontro con Philippe Herreweghe, fondatore dell’Orchestre des Champs-Elysées.

L’Orchestre des Champs-Élysées, che affronta il repertorio classico e romantico su strumenti originali. C’è un progetto in particolare che ha segnato la sua ricerca in questo ambito?
Herreweghe, che aveva già una carriera internazionale nella musica barocca, decise di creare un’orchestra classica e romantica su strumenti originali, sulla falsariga di quanto aveva già fatto Gardiner: l’Orchestre des Champs-Élysées, appunto. Sono entrato in orchestra in qualità di primo violino e ne sono stato parte quasi dalla nascita. È un’orchestra che mi ha dato tanto, bellissime emozioni e soddisfazioni. La filosofia, il concetto del suono e delle articolazioni è una cosa che credo contraddistingua questo gruppo da sempre e lo renda piuttosto unico. Allo stesso tempo, sempre con Herreweghe, ho preso parte anche ad un altro ensemble, il Collegium Vocale di Gent, che affronta un repertorio che purtroppo una gran parte degli studenti di oggi non conosce: la Passione Secondo Matteo o la Passione Secondo Giovanni di Bach, la Messa in Si minore, sono dei capolavori assoluti dell’umanità. Suonare  questa musica universale è un traguardo importante ed un onore per ogni musicista; devo ammettere che innumerevoli volte ho pianto in concerto. Innumerevoli. È un’esperienza che io auguro a qualsiasi giovane musicista di poter vivere.

Quando si insegna si impara dagli altri: insegnare significa sviluppare una capacità di analisi e di visione dell’individuo che si ha di fronte che, chiaramente, è sempre unico. Ogni passo avanti fatto con uno studente porta ad un progresso anche personale.

L’insegnamento è un percorso di lavoro parallelo che non ha mai abbandonato. Oltre al Conservatorio della Svizzera italiana, insegna anche a Gent e, in passato, a Kyoto. Quanto l’esperienza pedagogica incide sul lavoro di un solista?
Sono stato per otto anni all’Accademia di musica francese di Kyoto, ma ho fatto esperienza di insegnamento anche a Singapore, in Taiwan, Colombia, per non citare le numerose città francesi, olandesi, italiane. Quando si insegna si impara dagli altri: insegnare significa sviluppare una capacità di analisi e di visione dell’individuo che si ha di fronte che, chiaramente, è sempre unico. Ogni passo avanti fatto con uno studente porta ad un progresso anche personale: è per questo che insegnare è una ricchezza. Dai molto agli altri, ma ricevi anche molto.

Come valuta il lavoro con gli studenti della nostra Scuola universitaria di Musica?
Insegno a Lugano dal 2017 e devo dire che questi anni sono stati bellissimi. Tra i colleghi c’è un rispetto assoluto e una sana competizione tra gli studenti. Le potenzialità e le possibilità di lavorare sono molte; i pianisti accompagnatori sono persone straordinarie e tra gli alunni c’è un ottimo livello. Aggiungerei che una cosa che apprezzo del Conservatorio della Svizzera italiana – un aspetto tipico di questa Scuola – è che gli studenti hanno la libertà di portare avanti un proprio progetto senza essere incastrati in un programma eccessivamente rigido.

Quale programma ha scelto per il concerto di apertura di “Conservatorio in Festival”? Un consiglio sull’ascolto per il pubblico?
Ho immaginato di affrontare un repertorio classico e pre-romantico, scegliendo brani di compositori che si conoscevano e stimavano tra loro. Nella prima parte abbiamo una Ouverture di Mozart e un Concerto per violoncello di Haydn. Haydn considerava Mozart un figlio spirituale e, reciprocamente, Mozart considerava Haydn un padre spirituale. C’era un’immensa stima tra di loro: Mozart dedica dei quartetti a Haydn in omaggio alla sua importanza. Nella seconda parte troviamo altri due grandissimi compositori, Cherubini e Beethoven, i quali condivisero anch’essi un’importante relazione intellettuale e di stima reciproca. Mi auguro che con questo programma gli studenti possano approfondire il repertorio classico, aiutati anche dagli archi classici che utilizzeremo: sarà più intuitivo il senso dell’agogica e dell’articolazione di queste opere.

 

Alessandro Moccia intraprende dal 1986 una carriera sia da solista che da camerista esibendosi in prestigiose sale, tra cui il Teatro des Champs-Elysées di Parigi, il Concertgebouw di Amsterdam, il Bunka Kaikan a Tokyo, il Lincoln Center di New York. Dal 1992 è invitato da Philippe Herreweghe a diventare violino di spalla dell’Orchestre des Champs-Elysées di Parigi, ruolo che ricopre ancora oggi, oltre a collaborare come primo violino con diverse orchestre: la WDR di Colonia, la Mahler Chamber Orchestra e altre. È  stato il primo violino del quartetto d’archi Turner, con cui fino al 2005 ha svolto una intensa attività concertistica e discografica. Estremamente appassionato di prassi esecutiva, ha sempre svolto un’attività parallela tra il violino moderno e lo strumento antico, collaborando con grandi artisti come Frans Brüggen, Sigiswald Kujken, René Jacobs, Anner Bijlsma, Christophe Coin, Andreas Staier. Collabora per il settore violinistico con le edizioni francesi Fuzeau, per i quali ha appena pubblicato in tre volumi i “Metodi e Trattati Italiani per violino dal 1600 al 1800”. Nel 1996, spinto dalla passione per la pedagogia, crea insieme a Philippe Herreweghe la Jeune Orchestre Atlantique (JOA). Dal dal 2004 al 2010 è docente dell’Academie de Musique Française di Kyoto. Dal 2011 è professore di violino al Conservatorio Superiore di Gent in Belgio e dal 2017 al Conservatorio della Svizzera Italiana a Lugano.

 

 

Scuola universitaria di Musica | Orchestra da camera CSI

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