In occasione della sua masterclass alla Scuola universitaria di Musica, abbiamo intervistato il grande violista e compositore irlandese Garth Knox, per la prima volta al Conservatorio della Svizzera italiana.
Maestro Knox, cosa ha significato per lei dedicare la vita alla musica?
Inizialmente non credo sia stata una decisione consapevole, ma è stata una conseguenza del mio amore per la musica e, dopo averla scoperta, ho dedicato a questo la mia vita. Man mano è diventato il mio modo di essere. Credo infatti che la musica sia un modo di stare nel mondo, di vivere con le altre persone. Tutto ciò che volevo era fare musica, ed è per questo motivo che è diventata la mia principale attività.
Lei è nato in Irlanda e cresciuto in Scozia, entrambi paesi con una profonda cultura musicale. Quale è stata la sua formazione musicale e come si è evoluta in attività lavorativa?
In Irlanda e in Scozia la musica è molto presente e ha la bella caratteristica di essere qualcosa di “comunitario”: è fatta da persone che si ritrovano senza una vera distinzione tra musicisti e non. È un’attività in cui ognuno fa qualcosa – chi canta, chi suona – senza porsi il problema di essere più o meno “bravo”, ma soltanto per il piacere di partecipare. Penso che questa attitudine sia stata molto importante per me nell’arrivare a vedere la musica come qualcosa da condividere con altre persone e non come qualcosa in cui essere migliori degli altri.
La decisione di iniziare a suonare uno strumento è stata naturale: nella mia famiglia tutti suonavano, le mie due sorelle il violino, mio fratello il violoncello, quindi io ho iniziato a suonare la viola per completare il quartetto d’archi in famiglia. Poi ho iniziato a suonare in quartetto a scuola con alcuni amici (l’educazione musicale a scuola era gratuita, potevamo avere degli strumenti e prendere lezioni); in seguito ho iniziato a suonare nelle orchestre giovanili e a farmi molti nuovi amici; poi ancora nell’Orchestra Giovanile della Gran Bretagna e al Music College. Penso che la peculiarità della concezione musicale scozzese e irlandese si trovi nell’ affrontare con più serenità e facilità l’essere un musicista, senza sentirsi diversi dalle altre persone. La trovo una cosa molto speciale e cerco sempre di portarla con me. A proposito della mia musica molti dicono che “suona irlandese”, ma non ci posso davvero fare nulla, le mie radici sono lì! Penso sia quel tipo di musica aperto a chiunque. Per me la musica popolare è musica che nasce perché deve esistere, nessuno la “inventa”, letteralmente accade, viene da una sorgente molto profonda ed è proprio questo ad arricchirla. Anche ascoltando compositori come Bartok, ma anche altri come Mozart, si capisce che praticamente tutti i compositori prendono spunto dalla folk music e la trasformano, penso infatti che tutta la musica provenga da questo.
Ripercorrendo brevemente la sua carriera, quali sono state le tappe principali?
Andare al Music College di Londra sicuramente e poi gli incontri con molti artisti dell’ambiente della musica contemporanea, grazie ai quali ho iniziato ad avvicinarmi alla musica “nuova”. Il mio primo lavoro importante fu a Parigi, con Pierre Boulez e l’Ensemble Intercontemporain, e fu un lavoro a tempo pieno lavorando su musica nuova. Da subito ho trovato questo modo di intendere la musica molto creativo rispetto anche alla visione tradizionale, in cui l’interprete ricrea qualcosa che è già presente, mentre con la contemporanea crei qualcosa di nuovo, conosci le persone che hanno scritto quello che suoni, diventi parte di una “tradizione vivente”. Dopo questo, mi sono unito al Quartetto Arditti, specializzato in musica contemporanea, dove ho imparato molto, grazie alla possibilità di frequentare compositori che creavano nuovi repertori, e contribuendo con un lavoro a stretto contatto.
Quando poi ho lasciato il Quartetto è stato per me molto naturale iniziare a comporre i miei brani, avendo suonato tanta musica di altre persone ed avendo preso parte al processo compositivo. Quello che cerco di fare è prendere il suono della musica contemporanea e trasferirlo nella sfera più “tradizionale” della musica, perché penso che il suono sia la parte più importante nella musica, non importa quale linguaggio utilizzi o quale sia il tuo stile, è il suono a renderlo interessante. Quello che faccio, quindi, è prendere armonie o stili “normali” e utilizzare invece un suono piuttosto nuovo, così che le persone possano apprezzarlo.
Lei ha lavorato con i grandi compositori del Novecento. Ligeti, Stockhausen, Boulez, Feldman, Berio, per citarne alcuni. Chi ha segnato maggiormente la sua formazione? Se potesse scegliere, con chi vorrebbe poter lavorare ancora oggi?
Ligeti è sicuramente la scelta più ovvia! Ho avuto occasione di lavorare a stretto contatto con lui più volte, sia con il Quartetto sia per la lavorazione della Sonata per Viola. Ho imparato davvero tantissimo da questa collaborazione, è stato fantastico perché era davvero un grande musicista. Anche con Kurtag ho avuto occasione di lavorare a lungo. Ci sono molti nomi che hanno avuto un grande impatto nel mio percorso professionale, tra cui Sciarrino, Grisey, Xenakis. Sono tutti musicisti che mi hanno dato tante idee sulla musica in generale e non solo contemporanea, su come pensarla, come ascoltarla, e anche idee sulla vita. Mi hanno aperto porte sull’ascoltare in maniera diversa e comprendere la musica tradizionale: un esempio che mi viene in mente è Debussy, che “inventa” un nuovo linguaggio principalmente basato sull’ascolto, come dimostrato nella sua musica per pianoforte, in cui è molto chiaro che lui ascoltò il pianoforte e il suo suono come nessuno l’aveva mai ascoltato prima, non inventa necessariamente qualcosa di nuovo ma con questo approccio cambia la storia della musica. Questo mi ha convinto che l’aspetto più importante di quello che facciamo come musicisti sia l’ascoltare.
Maestro, per la prima volta è ospite del Conservatorio della Svizzera italiana, dove sta lavorando con tutti i tre dipartimenti, con giovani musicisti di età e preparazione molto diverse fra loro. Che cosa si aspetta da questo lavoro e quali sono i suoi obiettivi pedagogici?
Come prima cosa sono stato molto sorpreso dall’organizzazione qui, è molto diverso da altri conservatori in cui sono stato in Svizzera: penso sia molto sano questo scambio tra i vari stadi dell’essere studente, mi sembra molto “adulto”, anche da parte dei più giovani, favorito dal mix che si crea tra persone che hanno un diverso approccio alla musica e all’essere musicisti, creando un ambiente meno incentrato sulla competizione ma più sullo scambio, la condivisione e l’aiuto reciproco. Questa è una cosa davvero bella e non così facile da trovare!