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Enzo Grossi: stiamo costruendo il “bugiardino” della musica

da | Nov 3, 2022 | LEGGI, Progetti

Il Conservatorio della Svizzera italiana è tra i partner principali del corso universitario “Musica e cura”, seconda edizione del progetto Cultura e Salute[1] promosso dalla Divisione Cultura della Città di Lugano e da IBSA Foundation per la ricerca scientifica, in partnership con la Facoltà di scienze biomediche dell’USI e, appunto, il nostro Conservatorio. Il corso, aperto al pubblico, si articola in sette lezioni tematiche, dal 17 ottobre al 5 dicembre 2022, in cui personalità del mondo della scienza, della ricerca musicologica e professori della Facoltà di scienze biomediche dell’USI si confrontano sulla relazione, ancora relativamente inesplorata, tra musica, medicina e salute[2]. Abbiamo incontrato il Professor Enzo Grossi, medico specializzato in malattie dell’apparato digerente, con alle spalle una lunga carriera ospedaliera e di direttore medico in aziende farmaceutiche, nonché membro dell’Advisory Board di IBSA Foundation a capo del coordinamento scientifico del corso, per osservare più da vicino la relazione tra partecipazione culturale, longevità, salute e benessere.

Uno scatto della prima lezione del corso

Un momento della prima lezione del corso “Musica e cura”, 2022 ©IBSA

Professor Grossi, le chiedo da principio di raccontarci del suo interesse per il legame che unisce due ambiti finora considerati distanti: la cultura e la medicina.
Circa vent’anni fa ho iniziato a coltivare degli interessi collaterali alla mia professione di medico. Interessi che spaziavano dall’entrata dell’intelligenza artificiale in medicina – quindi le nuove filosofie di approccio alla complessità delle malattie – alle cosiddette medical humanities, una tematica che prende origine dal modello bio-psico-sociale di George L. Engel, in cui mente e corpo non sono due realtà indipendenti, ma strettamente unite. Secondo questo modello, tutto ciò che ha a che fare con l’aumento di stress influenza pesantemente lo stato di salute di individui non malati ed esercita maggiore pressione sul proseguo della malattia in individui già malati. Un modello che ci invita a cogliere l’importanza degli elementi dell’ambiente familiare, sociale e culturale in cui la persona, che ha una mente e un corpo, è immersa.

A partire da questa visione, come si è sviluppata negli ultimi anni la relazione tra cultura e salute?
Oggi sappiamo che una persona che ha un interesse spiccato nei confronti delle arti, in generale ha un’aspettanza di vita più lunga rispetto a una persona che ne è priva.
Questo lo sappiamo circa dagli anni ’90, quando sono stati pubblicati i primi studi scientifici con risultati tangibili, che confermavano il guadagno di longevità collegabile alla partecipazione culturale[3]. Di fronte a questa novità, che aveva parecchio sorpreso la classe medica, avevamo da una parte la necessità di spiegarne a fondo i meccanismi; dall’altra, posto il guadagno di longevità, si trattava di vedere se ad esso si associava un guadagno di benessere. Perché è importante non solo aggiungere anni alla vita, ma anche “vita” agli anni. Quindi, abbiamo iniziato a occuparci di benessere studiandone le possibili determinanti. Con il mio gruppo abbiamo visto che il maggiore determinante al benessere percepito, dopo l’assenza di malattie, è proprio l’intensità della partecipazione culturale.

Che cosa intendiamo con “partecipazione culturale” e come possiamo misurarne la correlazione con la propria percezione di benessere?
La partecipazione culturale include tutte le diverse attività artistiche, come il teatro, il cinema, l’arte visiva, la musica, la letteratura… Per valutare la correlazione della partecipazione culturale con lo stato di benessere psicologico percepito, abbiamo utilizzato delle scale di misurazione molto solide come, per esempio, lo Psychological General Well-being Index (PGWBI), che ci ha permesso di oggettivare ciò che sospettavamo e che volevamo dimostrare. Su questa base, ci siamo poi chiesti quali attività culturali abbiano maggiori capacità di migliorare lo stato psicologico degli individui. Accanto alle arti figurative e ai musei, che sono una fonte di benessere immediato e anche a lungo termine per chi li frequenta regolarmente, siamo arrivati alla musica, che è uno degli altri pilastri dell’attività culturale: e mi riferisco sia all’atto dell’ascoltare buone espansioni musicali di propria preferenza sia, attivamente, di suonare strumenti o essere parte di un coro.

Oggi sappiamo che una persona che ha un interesse spiccato nei confronti delle arti, in generale ha un’aspettanza di vita più lunga rispetto a una persona che ne è priva.

Ci sono paesi che, sulla base di queste scoperte, hanno introdotto la possibilità di curare i pazienti proprio attraverso la partecipazione culturale.
Ormai il cosiddetto social prescribing è una pratica comune nel Regno Unito, in Australia, in Finlandia. In paesi come questi il medico può indicare che il paziente, per risolvere una particolare problematica, attivi una determinata partecipazione culturale. Parliamo prevalentemente di problemi legati a situazioni psico-sociali, come per esempio anziani che vivono soli in situazioni di stress o anche di individui non anziani sotto stress lavoro-correlato: forme di depressione o di ansia che sono poco appetibili da trattare farmacologicamente. In questi casi il medico può rimandare il caso a un’organizzazione in cui una figura di collegamento si occupa di capire che cosa il paziente richieda, date le sue particolari caratteristiche. Queste figure, cosiddette “link workers”, sono quindi in grado di direzionare il paziente verso centri culturali che hanno sviluppato la possibilità di prendere in carico quel particolare soggetto per fargli vivere un’esperienza culturale di qualche settimana, con un programma personalizzato. Molto importante è il fatto che queste organizzazioni prevedono la possibilità di misurare gli effetti ottenuti sui pazienti, come se entrassero a tutti gli effetti, in un protocollo di studio. I governi dei paesi che ho citato stanno finanziando l’espansione di questi network aumentando il numero di “link workers” e del bacino d’utenza: è stato appurato che facendo star meglio le persone si risparmia in spesa pubblica, perché c’è una minore richiesta di visite specialistiche, si riduce il consumo di farmaci psicotropi e, in ultima istanza, anche di ospedalizzazioni.

Sappiamo che la musica genera un effetto positivo in molte situazioni di ospedalizzazione, mentre in altre l’effetto è ancora incerto. In ogni caso, però, il grande vantaggio è che questi interventi sono poco costosi e privi di effetti collaterali, offrendo benefici che non sono raggiungibili con altri approcci.

Sembra, quindi, che la politica culturale giochi un ruolo determinante nel favorire la consapevolezza sugli effetti positivi di questo tipo di approccio.
Certamente. Il caso di Lugano, per esempio, credo che sia veramente unico nel suo genere: la Divisione Cultura della Città ha sposato appieno questo filone di ricerca e, a fianco di una fondazione privata come IBSA Foundation votata alla divulgazione scientifica, offre alla comunità accademica e a tutta la cittadinanza un corso che aggrega l’eccellenza della ricerca su un tema d’avanguardia come ‘Cultura e salute’. Quest’anno, grazie al coinvolgimento del Conservatorio della Svizzera italiana (CSI), la triade città-partner privato-università è diventata un magico quartetto e abbiamo potuto dedicarci esclusivamente al tema “Musica come cura”. Il grande beneficio di questo modello è favorire anche un senso di maggiore identità locale, civica. Tutti i cittadini possono sentirsi partecipi di un programma scientifico offerto da strutture che spesso possono essere viste come monadi. Un circolo virtuoso che per Lugano può essere una bella carta di presentazione al mondo.

In una recente lezione avete osservato da vicino come la musica possa anche entrare negli ospedali ed essere utilizzata come risorsa per contrastare dolore, ansia e stress.
Sì, abbiamo fatto una panoramica degli studi evidence-based, quindi studi randomizzati dove un gruppo di controllo è esposto alla musica sotto varie forme, e si utilizzano metodologie quantitative per misurarne gli effetti. A questo abbiamo aggiunto raccolte di molteplici studi randomizzati con meta-analisi che permettono di pesare gli effetti in maniera omogenea per ottenere un indicatore globale di efficacia. Quindi, stiamo costruendo una sorta di “bugiardino della musica”: sappiamo che la musica genera un effetto positivo in molte situazioni di ospedalizzazione, mentre in altre l’effetto è ancora incerto. In ogni caso, però, il grande vantaggio è che questi interventi sono poco costosi e privi di effetti collaterali, offrendo benefici che non sono raggiungibili con altri approcci.

Due studenti del Conservatorio della Svizzera italiana eseguono una performance musicale durante la prima lezione del corso

Due studenti del Conservatorio della Svizzera italiana eseguono una performance musicale durante la prima lezione del corso, 2022 ©IBSA

State già lavorando alle prossime edizioni del corso “Cultura e salute”?
Le impressioni dell’attuale corso “Musica e cura” sono molto positive: all’ultima lezione nell’Aula Magna USI sono convenute quasi 150 persone. Il pubblico si mostra estremamente interessato e soddisfatto. Grazie al Conservatorio, abbiamo inserito la musica non solo come oggetto di studio, ma anche come ascolto attivo durante gli incontri, valorizzando ciò che il Conservatorio sta producendo in termini di capacità professionale. Se il corso dovesse andare molto bene come ci aspettiamo, immagino che USI e gli altri partner coinvolti possano pensare di fare una terza edizione. Valuteremo allora la possibilità di esplorare le varie altre componenti della partecipazione culturale: la danza, la lettura, l’esercizio fisico, o la combinazione di questi, come l’iniziativa “cammino leggendo”. Le strade possibili da percorrere sono molte.

 

[1] Il progetto Cultura e Salute, presentato nel marzo 2020, nasce da una partnership strategica tra la Divisione Cultura della Città di Lugano e IBSA Foundation per la ricerca scientifica volta a dare valore alle pratiche e alle progettualità artistiche e culturali che hanno l’obiettivo di migliorare il benessere fisico e mentale delle persone e delle comunità. Cultura e Salute è frutto della partnership tra Città di Lugano-Divisione Cultura e IBSA Foundation, in collaborazione con Fondazione Lugano per il Polo Culturale. Partecipano al progetto: UBS, SUPSI e Farma Industria Ticino. Cultura e Salute si propone come piattaforma di cooperazione, aggrega istituzioni, organizzazioni e imprese nel comune obiettivo del miglioramento del benessere delle persone e delle comunità attraverso la Cultura. www.culturaesalute.ch
[2] Le lezioni si svolgono in sette appuntamenti dal 17 ottobre al 5 dicembre 2022, nell’Aula polivalente del Campus Est USI, Lugano. Per il programma completo consultare www.ibsafoundation.org/it/progetti/cultura-e-salute/corso-universitario-2022
[3] Si veda per esempio, Bill Grant, British Medical Journal (1996).

 

Cultura e salute

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